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Playing God, il corto animato da Bologna agli Oscar
Lodato da Del Toro e alla Disney punta a entrare in shortlist
(di Lucia Magi) Niccolò dell'Arca incontra 'Coraline'. Lo scultore rinascimentale, maestro della terracotta e di una sorta di espressionismo ante litteram, e il raffinato stop-motion dello studio Laika di Hillsboro, in Oregon, convergono in 'Playing God', cortometraggio animato tutto italiano in gara per gli Oscar 2026. Il regista Matteo Burani, bolognese classe 1991, cita all'ANSA i suoi riferimenti artistici: "Il Compianto sul Cristo morto nella chiesa di Santa Maria della Vita, in centro a Bologna, è una delle mie sculture preferite. Insieme ai miei compagni di liceo artistico, poi, siamo cresciuti con Wallace e Gromit, 'Nightmare before Christmas' e i primi film - fulminanti - dello studio fondato in Oregon da Travis Knight". Dai tempi della scuola Burani ha cominciato a lavorare con Arianna Gheller e Rodolfo Masedari, compagni di viaggio in questa "odissea" che, dopo sette anni di raccolta fondi, ricerca e lavoro da amanuensi nel piccolo laboratorio sotto i portici, li ha portati dritti fino al tempio del cinema internazionale. 'Playing God' è nell'elenco dei 113 cortometraggi arrivati da tutto il mondo che i membri dell'Academy of Motion Pictures stanno guardando in queste ore, prima di votare dall'8 al 12 dicembre. La selezione delle 15 opere con più preferenze verrà annunciata il 16 dicembre; il 22 gennaio, dopo un secondo turno di votazioni, rimarranno in cinque: stesso calendario per il lungometraggio che rappresenta l'Italia quest'anno, 'Familia' di Francesco Costabile, e il corto in live action di Giulia Grandinetti 'Majonezë'. Prima di arrivare ad Hollywood, questo body horror di 7 minuti, che manipola l'argilla come carne viva, ha vinto il Tribeca Film Festival e l'Animayo Festival delle Canarie, due riconoscimenti che l'hanno qualificato per la 98/a corsa alla statuetta. Da notare, anche se l'artista si astiene per scaramanzia, che il vincitore della precedente edizione del festival spagnolo, l'iraniano 'In the Shadow of the Cypress', ha poi vinto l'Oscar a marzo 2025. Il cortometraggio racconta di uno scultore tormentato che tenta di plasmare una figura umana dalle proporzioni ideali. Quando si accorge di aver fallito, la abbandona. La creatura, nel tentativo disperato di raggiungerlo, si autodistrugge e trova compassione tra le altre opere rinnegate. Gli occhi bagnati di lacrime e i corpi sfigurati di oltre 60 pupazzi in terracotta alti 58 centimetri, dotati di armatura interna ball-and-socket, sono stati plasmati da Gheller, fondatrice insieme a Burani dello Studio Croma di Bologna. "Il progetto è nato con un crowdfunding, poi sono arrivati i fondi della Regione Emilia-Romagna e del Mic. È stata un'odissea, ma ci ha formati come artisti e come produttori", spiega Burani, formatosi nelle arti figurative e nella scultura. "Mi affascina l'imperfezione, la materia che resiste alla forma imposta. La storia nasce dal desiderio di esplorare la fragilità del creato e del creatore. L'idea si è poi evoluta molto. La chiave è diventata il rapporto tra le creature. Quando anche l'ultima statuetta viene rifiutata perché imperfetta, cade, perde letteralmente la faccia, e sono le altre ad accoglierla, accettarla e capirla", chiosa. Il produttore Rodolfo Masedari è arrivato a Los Angeles per portare il film nei luoghi dove si decidono i destini dell'animazione mondiale. "I membri dell'Academy sono persone che fanno questo lavoro negli studi della città", spiega all'ANSA. Per questo, Masedari ha attraversato "le porte della Pixar (a San Francisco), Netflix, Disney, Sony, DreamWorks e Warner… Sono come dei templi. Lì sono state concepite e ultimate le opere che ci hanno fatto crescere, quelle che ci hanno resi ciò che siamo. Entrare non da turista o da curioso, ma per presentare il mio film, è già come aver vinto!", sorride questo trentenne bolognese, di formazione ingegnere. Il momento più emozionante? Masedari non ha dubbi: "I complimenti che sono arrivati da un gigante del cinema, Guillermo Del Toro, che ci ha fatto sapere di essersi molto emozionato. E poi l'incontro con John Musker alla Disney. È una leggenda per me: 'La Sirenetta', 'Oceania', 'Hercules'… È rimasto sorpreso: 'Come avete fatto a fare tutto da soli?', mi ha chiesto. Sai, lo stop-motion è caro, lento, difficilissimo".
J.Bergmann--BTB