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Jodie Foster, divento una psicanalista forte ma vulnerabile
In Vita privata di Zlotowsky, nelle sale dall'11 dicembre
Arriva l'11 dicembre sugli schermi italiani "Vita privata", una commedia thriller a sfondo psicanalitico a cavallo fra Alfred Hitchcock e Woody Allen. Con una perfetta Jodie Foster nei panni di una psicanalista di origini americane trapiantata a Parigi, Lilian Steiner, che entra in crisi dopo la morte di una sua paziente, Paula. Si convince che la donna è stata assassinata e comincia ad indagare ma la sua inchiesta va avanti insieme ad un profondo rivolgimento interiore che si riflette nella sua professione, nella sua coppia e nei rapporti con il figlio. Alla regia, Rebecca Zlotowski, francese di origini ebraico-polacche da parte di padre, ebraico-marocchine da parte di madre. "Avevo due ossessioni - spiega all'ANSA la regista, che ha diretto fra gli altri film 'Un'estate con Sofia' e 'I figli degli altri' - lavorare con Jodie Foster e il titolo 'La vita privata', preso in prestito dal capolavoro di Louis Malle (con Marcello Mastroianni e Brigitte Bardot, negli anni Sessanta, ndr). Se sei una regista francese e ti imbatti in un personaggio che può essere interpretato da Jodie Foster, questo basta da solo a fare un film. E poi quel titolo, che riguarda un'aggressione all'intimità, ma anche 'privato' nel senso essere privato di qualcosa". Il film ruota attorno alla morte di Paula (Virginie Efira), inquieta paziente di Lilian Steiner. La sua scomparsa apre un baratro nella vita di Lilian, apparentemente fredda e professionale, rigida e distaccata, ma sul cui viso cominciano a scendere lacrime incontrollate. Chi è Paula? Perché suo marito (Mathieu Amalric) detesta la "strizzacervelli" da cui andava la moglie? Il film scorre veloce e intrigante, ispirato ai colpi di scena di Hitchcock e alle commedie thriller di Woody Allen, prima fra tutti "Misterioso omicidio a Manhattan". L'indagine sulla morte di Paula diventa per Lilian un'indagine interiore, che la conduce a ritrovare il rapporto con il marito dal quale era separata (un Daniel Auteuil perfetto nel fare da contrappeso rassicurante all'agitazione della moglie psicanalista) e quello ancora più difficile con il figlio (Vincent Lacoste). Ed eccola Jodie Foster, 63 anni, quasi tutti nel cinema, che ha percorso da bambina, poi da adolescente, quindi da donna adulta come attrice, regista, produttrice. Attraversando ruoli indimenticabili da "Taxi driver" a "Il silenzio degli innocenti". E collezionando due Oscar e 4 Golden Globe. Nel film l'attrice che ha appena ricevuto il Tribute Award al Marrakesh Film Festival, interpreta una donna che da indagatrice della psiche dei pazienti, passa ad indagare sulla morte di una di loro. Ma poi l'indagine si allarga alla sua stessa psiche, al suo passato, alla sua vita di coppia, al rapporto difficile con il figlio: "Quando ti capita fra le mani una sceneggiatura che ti ispira - spiega all'ANSA - una storia che ti fa pensare 'Ehi, qui c'è qualcosa che mi incuriosisce, voglio saperne di più'. E questo ti porta poi allo step successivo, cioè il perché. Cerchi di rispondere a quelle domande, tipo: 'Perché questa donna non sta più con suo marito? Qual è stato il motivo della loro separazione?', proprio grazie a queste domande i personaggi iniziano a rivelartisi. E in quel momento, in quel processo c'è la parte più divertente del fare cinema. È come dare vita a un personaggio. È dare vita a un essere umano complesso, che ha tante motivazioni diverse e tante ragioni per cui è ciò che è". Nel film, Jodie - che parla diverse lingue fra le quali l'italiano - recita in francese. Lo parla perfettamente per aver studiato al liceo francese di Los Angeles da ragazzina e per non aver mai spesso di praticarlo. "E' stata una sfida enorme. - ammette l'attrice - volevo sognare in francese. Volevo essere spontanea e improvvisare e provare delle emozioni quando qualcuno mi parlava, e sentire davvero quelle emozioni. E questa è la vera padronanza di una lingua, naturalmente: essere in grado di viverla senza chiedersi 'la sto parlando correttamente?'. Trovo interessante che il mio personaggio, anche se è una persona piuttosto forte, è molto insicura e nervosa. Alcune di queste sensazioni derivano dal fatto che non ho il 100% del controllo della lingua. E sono nervosa perché potrei non trovare la parola giusta o potrei non riuscire a comunicare correttamente. Quindi questo porta un po' di interessante vulnerabilità al personaggio. Un po' di stranezza".
F.Pavlenko--BTB
